Sulla base della scoperta di una voce autentica e libera, si fonda il lavoro sulla dizione, che viene proposto con una modalità attiva e fisica attraverso esercitazioni, giochi, reciproco ascolto e presa di consapevolezza della ricchezza, possibilità e limiti dei dialetti di provenienza. Da sempre amo la lingua italiana, e il mio amore per la lingua italiana è arrivato al suo picco quando ho scoperto l’etimologia reale del termine desiderium (in latino, desiderio): dal latino, appunto, de, che indica un movimento dall’alto verso il basso, e sidus, sideris = stella. Il desiderio è, letteralmente, il tentativo di portare giù le stelle. Per definizione, quasi geneticamente, dunque, irrealizzabile. Da allora ho capito che le parole contengono la radice profonda di quello che noi siamo e che, perciò, meritano rispetto.
La dizione per me è rispetto per le parole: se la dizione non è digerita, metabolizzata, fatta propria, contribuirà a rendere un attore falso, poco credibile. Ogni attore dovrebbe possedere una corretta dizione per poter scegliere di non usarla: deve poter diventare zio Vanja, Adelchi, Saul o Polonio, ma anche uno spacciatore di borgata e parlare nella sua lingua primitiva e “sporca”. Per scoprire come la dizione non è altro che una forma di libertà e di espansione di sé, un’evoluzione della nostra identità, fondamentale passo per un attore, bisogna studiare molto, predisponendosi quasi all’apprendimento di una lingua nuova: spesso, infatti, scopriamo che alcune parole si pronunciano in modo completamente diverso da quello che credevamo. E scopriamo di essere detentori di un linguaggio infinitamente più vasto e pieno di inaspettate sfumature e possibilità.
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